01 Giu Il Rapporto 2021 dell’ONU su Agenda 2030
Il Rapporto annuale del segretario generale delle Nazioni Unite ha delineato lo stato globale dei 17 Sustainable Development Goals (SDGs) a sei anni dall’adozione dell’Agenda 2030. La relazione è stata pubblicata in maggio, a due mesi dal prossimo High-level political forum, e si basa sugli ultimi dati disponibili – dell’aprile 2021 – contenuti nel quadro globale degli indicatori per gli SDGs. Il contesto generale viene definito dagli stessi redattori del documento come “preoccupante”.
La possibilità di marcare una seria inversione di tendenza dipenderà dalla risposta collettiva che verrà data da tutti i Paesi del mondo, che a diciotto mesi dallo scoppio della pandemia hanno dimostrato di poter mettere in campo azioni decisive e di sapere promuovere pratiche resilienti.
Il Covid-19 è stato visto da molti come un’opportunità per superare di slancio le difficoltà nella realizzazione degli Obiettivi. Nonostante ciò, gli ostacoli che vengono evidenziati sono ancora molteplici.
Come si può evincere dalla lettura del Rapporto e della sua sintesi, la situazione di generale ritardo rispetto a raggiungimento degli obiettivi non è una prerogativa italiana, ma rispecchia l’andamento e le performance a livello internazionale. Per far fronte a ciò, già a settembre 2019 l’Assemblea Generale ONU aveva proclamato la “Decade of Action” (Decennio di azione) sull’Agenda 2030, allo scopo di accelerare gli sforzi per “correggere la rotta” e riallineare il percorso verso il raggiungimento degli SDGs. Dopo pochi mesi, la pandemia avrebbe determinato una crisi economica e sociale, oltre che sanitaria, senza precedenti, causando un considerevole impatto sul conseguimento dei SDGs.
Già a partire dalla primavera 2020 si è ragionato sull’effetto che la crisi-pandemia avrebbe avuto sul perseguimento degli Obiettivi. Superato presto l’ottimistica percezione positiva per la riduzione dell’inquinamento atmosferico durante il lockdown, è risultato evidente come la crisi avrebbe inciso negativamente sulla maggior parte degli SDGs.
Il rapporto “The SDGs and Covid-19” dell’Università di Cambridge già in primavera valutava che l’impatto nel breve periodo sarebbe stato molto negativo per cinque obiettivi e moderatamente negativo per altri otto. Il precedente Rapporto del Segretario Generale dell’ONU aveva evidenziato inoltre che la crisi avrebbe avuto ricadute negative per molti aspetti sociali ed economici: dai redditi (Goal 1), al cibo (Goal 2), ai servizi sanitari (Goal 3) ed educativi (Goal 4), dall’aumento della violenza di genere (Goal 5), a ricadute sulle aree più povere (Goal 11) e sulle aree di conflitto (Goal 16).
Per l’Italia un primo studio condotto dalla Fondazione Mattei ha valutato già a maggio che gli obiettivi maggiormente interessati dall’emergenza sarebbero stati: il Goal 1, “Povertà zero”, il Goal 4, “Istruzione di qualità”, e primo fra tutti il Goal 8, “Lavoro dignitoso e crescita economica”, ma che in totale 13 su 17 sarebbero stati negativamente influenzati. Secondo il Rapporto dell’ASviS di ottobre, in Italia, per effetto della crisi, si sarebbe registrato un peggioramento per 9 dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Il Rapporto dell’Onu 2021 conferma e aggrava ogni valutazione. A fronte di queste pessimistiche previsioni a breve termine, si rafforza la necessità di ripensare il percorso per il medio-lungo periodo, immaginando una ripresa che tenga necessariamente conto della vulnerabilità dimostrata dal sistema. Citando il vicesegretario generale ONU Amina Mohammed: “The SDGs […] will guide us to rebuild a more resilient, sustainable, equitable and inclusive future”. Le scelte compiute dal presidente Joe Biden, all’inizio del suo mandato, sembrano rispondere all’appello e delineano un nuovo quadro internazionale per il contrasto al cambiamento climatico. Anche la direzione indicata a livello europeo, in primo luogo con il programma Next Generation Eu e con altri cambi di politiche assai rilevanti, sembra essere proprio quella di puntare sullo sviluppo sostenibile come strategia di risposta alla crisi, per costruire un Europa più sostenibile, più resiliente e più equa. Una strategia che per essere vincente dev’essere declinata e misurata nei suoi risultati anche al livello delle comunità locali, che dunque richiede consapevolezza critica e nuovi strumenti di lavoro per chi le governa. Questa è l’ispirazione del progetto “Rete dei Comuni Sostenibili”.
Dobbiamo fare scelte radicali e dare certezze ai cittadini nell’era delle grandi incertezze, dell’ipercapitalismo delle disuguaglianze in crescita e delle democrazie in crisi. Per tanti versi, un futuro imprevedibile oggi sta ponendo le proprie basi, sono le rivoluzioni in corso a dircelo: quella che ci è imposta dagli effetti dei cambiamenti climatici, quella dell’energia, quella della genetica e della biologia sintetica, quella digitale, fino agli effetti dell’intelligenza artificiale. Serve dare una svolta, cambiare strada, come ci ha esortato a fare Papa Francesco a partire dall’enciclica “Laudato si’”. Con riforme economiche, sociali, personali, etiche, secondo il pensiero di grandi intellettuali europei come Edgar Morin. Va chiusa la forbice che si è aperta fra politica e evoluzione tecnologica e vanno equilibrati i poteri a beneficio delle collettività, per una rigenerazione della politica, volta alla protezione del pianeta e a un’umanizzazione della società.
Marco Filippeschi
Coordinatore del Comitato Scientifico della Rete dei Comuni Sostenibili